Ho ucciso mio fratello
Monologo in un solo atto
di
Domenico Guarino
Personaggio: un ex soldato senza nome né luogo né tempo.
Scenografia: nessuna, l’attore è isolato dall’ambiente circostante con fascio di luce
[Ha in mano un foglio ripiegato, lo osserva. Solenne.] Questa lettera è l’unica certezza che mi è rimasta nella vita. La porto con me, da tanto, tantissimo tempo. Non ricordo nemmeno più quanto. Venti, trenta, quarant’anni o forse cento o mille anni. L’avrò letta e riletta infinite volte. Di questa lettera io conosco a memoria tutte le parole, le pieghe del foglio, l’odore, le macchie ed ogni volta che la leggo la mia mente corre veloce, indietro nel tempo, a quella terribile guerra. Quella guerra dove ho combattuto, e come se ho combattuto ! Dove ho visto e ho fatto cose che mai avrei pensato di vedere e di fare. Dove ho perduto per sempre tutta la mia giovinezza. Perché quando si torna, vivi, da una guerra, si ritorna sempre vecchi, anche se si hanno solo vent’anni o poco più.
[Con un sottile velo di malinconia] Ricordo che quando ero giovane, prima di diventare vecchio per sempre, le mie giornate in paese trascorrevano tutte uguali. Giornate di duro lavoro nei campi. Con quella zappa che ogni volta, con il trascorrere delle ore, sentivo sempre più pesante tra le mani fino a che diventava un peso insostenibile per i muscoli. Ma non mi lamentavo. Solo lavorando sodo potevo realizzare il mio sogno: sposare la donna che amavo. Elena. La mia Elena. Allora era il mio unico scopo nella vita. Volevo comprarle una casa, un pezzetto di terra, amarla ed avere con lei dei figli da allevare.
[Come se si destasse] Poi però cominciarono a circolare quelle voci e quella maledetta parola: guerra. All’inizio come un sibilo, poi in modo sempre più assordante. Quella parola maledetta ogni giorno rimbombava sempre più forte per le strade e nella mia testa. [Imita il tono di una voce che viene da lontano] “Un feroce popolo popolo guerriero minaccia la nostra pace. Un popolo che abita al di la del confine”.
Io ovviamente non avevo mai conosciuto di persona uno di questi uomini, al massimo mi ero allontanato fino in città. Anzi fino a quel momento non sapevo nemmeno della loro esistenza.
Alcuni del paese che giuravano di averli visti da vicino dicevano che erano di corporatura tozza e piuttosto brutti nei lineamenti, che la loro pelle era di un colore olivastro, che portavano dei lunghi capelli raccolti in degli anelli di metallo, che indossavano degli strani abiti e che su tutto quello che mangiavano [gesticola con la mano strofinando pollice ed indice] mettevano una strana polverina bianca dai magici poteri.
[Con ironia] Il nostro Re si era espresso senza riserve su quel popolo: [Urla] “Ladri, luridi ladri che vogliono rubare il nostro tesoro”. Il comandante in capo delle guardie diceva che in guerra erano combattenti sleali e senza scrupoli. Durante la funzione sacra, poi, il sacerdote ripeteva sempre che l’obbiettivo di quei maledetti era quello di costringerci ad adorare quel loro falso Dio
I mio padrone era un grande proprietario terriero, l’uomo più ricco del paese. Un uomo istruito, temuto e rispettato da tutti. Un giorno ci chiamò tutti nello spiazzato davanti alla sua grande casa. [Alzando sempre più la voce] Urlò a squarciagola che quegli uomini sarebbero arrivati di li a poco, armati fino ai denti, e che avrebbero violentato le nostre donne, ucciso i nostri padri, rapito i nostri bambini, dato alle fiamme le nostre case e che ci avrebbero ridotti come schiavi a lavorare nelle nostre stesse terre. “Dobbiamo essere pronti a difenderci, anzi, dobbiamo attaccarli noi per primi, coglierli di sorpresa”, disse. Tutti i presenti furono d’accordo con lui.
[Sommesso, pensieroso] Le mie brevi pause di lavoro, durante le quali prendevo fiato e mi asciugavo il sudore dalla fronte, diventavano sempre più un’occasione per pensare e pensavo. Non riuscivo a capire perché dei perfetti sconosciuti ce l’avevano a morte con me. Perché volevano farmi del male, visto che io non conoscevo loro e loro non conoscevano me. Quali erano le mie colpe ? Tutto quello che chiedevo alla vita era un lavoro, una moglie, dei figli.
Adesso tutto questo era in pericolo. Cosa mi sarebbe successo ? Avevo paura. Paura di andare in guerra, di combattere. Paura di non tornare più a casa, di non vedere più la mia Elena.
Mai però ne avevo parlato con lei né tanto meno lei con me. Nessuno di noi due aveva mai avuto il coraggio di affrontare quel discorso durante i nostri brevi incontri. “Elena cos’hai, vuoi dirmi qualche cosa ?” Solo qualche strano sguardo, qualche lungo silenzio, aveva tradito la nostra reciproca preoccupazione.
Poi, un giorno, a casa si presentarono due guardie, e mi dissero che dovevo sbrigarmi, che dovevo seguirli, che non c’era tempo da perdere. Qualche minuto per prendere le poche cose che già avevo salutato la mia famiglia ed ero in viaggio per il fronte. Non mi diedero neanche la possibilità di vedere la mia Elena per l’ultima volta. Ormai il mio corpo non apparteneva più a me. Adesso era proprietà di altri che al mio posto ne avevano deciso il destino.
Quando arrivai a destinazione trovai tanti altri giovani come me. Tutti già in fila. Il nostro comandante ci guardò e ci disse che eravamo li per difendere la nostra gente, il nostro Re, il nostro Dio. Tutti noi ascoltammo quelle parole senza fiatare, immobili. [Ironico]Ci disse anche che a guerra finita, i più valorosi, sarebbero stati ricompensati con le terre conquistate al nemico.
Al posto della zappa, però, adesso impugnavo uno strumento di morte. Mai avevo immaginato fino a qualche tempo prima di dovere un giorno uccidere degli uomini, io che in tutta la mia vita, non avevo mai fatto male a nessuno. All’inizio fu terribile, mi sembrò di impazzire. Poi con il passare del tempo quella vita mi parve normale, quasi l’unica possibile. Una cosa ho capito con l’esperienza, gli esseri umani riescono ad abituarsi a qualsiasi cosa, basta solo dare loro tempo a sufficienza.
Giorno dopo giorno, man mano che vedevo i miei compagni morire come mosche, la mia paura si trasformava sempre di più in rabbia e in odio verso quel nemico spietato. Adesso non avevo più dubbi e tutte quelle mie domande avevano perso di significato. Il mio unico scopo era quello di uccidere il maggior numero di nemici! E ne ho uccisi. Tanti.
Una sera, una sera ero in perlustrazione. Camminavo piano. Ad un certo punto vidi un soldato nemico appostato dietro ad un cespuglio. Era chino su se stesso, seduto su un masso. Non si accorse di me perché era voltato dall’altra parte. Alle sue spalle potevo chiaramente scorgere la sua tozza sagoma e la sua lunga chioma di capelli raccolta. Per un attimo pensai di farmi scoprire, di farlo voltare, guardarlo negli occhi e combatterlo a viso aperto, alla pari. Invece non vidi mai i suoi occhi. Mi avvicinai piano piano, senza farmi sentire. Con una mano gli tappai la bocca e con l’altra, con un sol colpo deciso e con tutta la rabbia e l’odio che avevo in corpo, gli tagliai la gola. Lui lasciò cadere a terra qualcosa [Lascia cadere il foglio]. Dopo poco già non respirava più. Allentai la presa e lo adagiai piano a terra.
[Si inchina] Con le mani sporche del suo sangue rovistai nelle sue tasche. Presi velocemente tutto quello che potei prendere: delle monete, un coltello, cianfrusaglie varie. Poi raccolsi un foglio di carta che era li a terra. Il foglio che quell’uomo teneva tra le mani prima della mio agguato. Una lettera. [Raccoglie il foglio e lo mostra]. Questa lettera. Quella che adesso è l’unica certezza che mi è rimasta nella vita.
Legge la lettera, in sottofondo si sentono rumori di battaglie]
“Amore mio, voglio subito darti una bellissima notizia, che sono sicuro ti rallegrerà molto. Oggi il nostro comandante ci ha detto che tra non molto avremo un permesso speciale. Potrò tornare da te. Finalmente staremo di nuovo insieme; solo per pochi giorni però. Ti confesso che non vedo l’ora di abbracciarti di nuovo. E poi muoio dalla voglia di assaggiare di nuovo quella deliziosa minestra che prepara sempre mia madre. Qui il cibo è scarso e pessimo, pensa che non abbiamo nemmeno un po’ di sale per condirlo.
La vita in guerra è dura, durissima: il freddo, la sporcizia, la fatica. Dormiamo pochissimo, e male. A volte dormiamo anche all’aperto, per terra, dove capita; come le bestie. Non sai quanto mi manca un tetto ed un letto. La paura di essere sorpresi all’improvviso dal nemico ci tiene sempre desti e comunque anche quando riusciamo a chiudere gli occhi e dormire abbiamo sempre gli incubi, che ci fanno svegliare di soprassalto.
Il nostro comandante ci ripete sempre che dobbiamo essere orgogliosi per quello che stiamo facendo, perché stiamo combattendo per difendere la nostra gente da un nemico sanguinario e crudele. Un nemico contro il quale non dobbiamo avere nessuna pietà. Anche il sacerdote al campo, l’altro giorno, ci ha parlato. Ha detto che non dobbiamo aver paura di morire, perché Dio è con noi e ci accoglierà tutti in paradiso. Dal gran palazzo, poi, è arrivato un messaggio di elogio per come ci stiamo battendo e di incoraggiamento a continuare fino alla fine la lotta contro il nemico aggressore.
I nostri nemici sono proprio come ce li avevano descritti in paese: pallidi e magri come cadaveri. Tagliano i capelli cortissimi e in viso non portano né baffi né barba. Una volta li ho visti pregare. Sono ridicoli, si riuniscono in gruppi, sembra quasi che ballino e poi fanno degli strani movimenti con le braccia.
In combattimento sono spietati e sleali. La settimana scorsa siamo caduti in una trappola; una vergognosa trappola. Abbiamo perso tanti uomini, molti più delle altre volte. Alcuni di loro li conoscevo bene. Uno abitava proprio nel nostro paese.
Che siano maledetti, maledetti per sempre. Perché tanto odio nei nostri confronti ? Cosa abbiamo fatto loro di male ? Perché ci hanno trascinato in questo inferno.
Adesso vorrei solo che tutto questo finisse, al più presto, perché non resisto più. Prego sempre Dio perché questo avvenga. Voglio tornare a casa e riprendermi per sempre la mia vita, il mio lavoro, sposarti ed avere con te dei figli da crescere.
Spero che questa lettera ti arrivi amore mio ed al più presto anche, magari prima del mio prossimo ritorno a casa e spero anche che tu ….” [Istantaneamente buio e silenzio]
FINE