Facebook: algoritmi e strani standard comunitari


dubbio

L’articolo che segue è diviso in tre punti (disabilità, sesso(?) e considerazioni).

Qualche giorno fa uno dei tanti algoritmi di Facebook mi ha bloccato il post sponsorizzato di un web magazine che parla di salute.

Può accadere, certo. Poi vado a leggere la motivazione: l’inserzione potrebbe essere offensiva per alcune categorie di persone.

1 – Come offendere senza offendere

Premetto che stiamo parlando di un articolo sul “mal di testa” scritto da un ricercatore di una Università (in esclusiva per quel sito).

Invio il mio appello, assicurando che articolo e foto non contengono né volgarità, tantomeno vanno a offendere nessuna categoria di persone.

Il giorno dopo (alla faccia della velocità) mi arriva la risposta, probabilmente tradotta in italiano con Google Translate.

Risposta di Facebook ad una inserzione bloccata

Rispondo a mia volta ma, nonostante le proteste, Facebook non cambia idea e l’articolo (di pubblica utilità) non può essere sponsorizzato.

Mi rivolgo, quindi, al “Facebook Advertiser Support” sfruttando Messenger e l’operatore mi spiega che il social network non accetta come termini “soffri di…” o “hai problemi di…” .

A quanto pare non c’è nessuna differenza per un prodotto editoriale, la politica per gli articoli è identica a quella per i prodotti commerciali.

2 – Niente sesso

Durante la conversazione arriva lo stop anche per un’altra sponsorizzata in attesa di “analisi”. Un articolo diverso, stavolta di un altro sito, che trattava come argomento “I benefici dello yoga”, con lo scopo dare dei consigli per limitare lo stress quotidiano.

Un collega che gestisce lo stesso profilo pubblicitario mi manda questo screen dal telefono (dalla App “Inserzioni”).

Facebook ADV Alert

Vi assicuro che non stavo cercando di pubblicizzare siti porto.

Perplesso (immagino lo fosse anche il mio collega), sfrutto il momento per chiedere chiarimenti all’operatore:

screenshot-chat-fb

L’operatore non aveva capito che il mio “Come scusi?” non era un “Non ho sentito bene” (d’altronde si tratta di una chat).

Il punto contestato, nell’articolo all’interno del sito, è quello relativo il legame tra yoga e sessualità della lunghezza di tre righe, all’interno di un articolo molto lungo.

Nel pezzo (precisamente in quelle tre righe) si spiega come alcuni medici ayurvedici o altri professionisti, soprattutto in India, prescrivono lo yoga come trattamento per una serie di problemi sessuali.

Insomma, nessun “enlarge your penis”, ma una curiosità culturale.

3 – Considerazioni (se proprio ti interessano)

Tirando le somme, Facebook non fa distinzione tra editoria e prodotti commerciali, sul fronte dell’advertising.

L’algoritmo controlla il titolo (questo si può rielaborare), il post che lo accompagna e il collegamento al sito, vagliando il contenuto; questo comunque assicura che non vi siano rischi di frode.

Il problema che emerge nella mancanza della distinzione sui post sponsorizzati è che l’algoritmo sembra non analizzare il contesto, andando a cercare una serie di elementi chiave per emettere la propria sentenza.

Quello che non si comprende è come mai, al contrario, non vengano analizzati post organici (quindi non sponsorizzati, quelli che facciamo ogni giorno) che incitano all’odio, al razzismo, al fascismo e che alimentano xenofobia e omofobia.

Pagine come Avanguardia NERA ad esempio (che di immagini di Mussolini ne condivide a bizzeffe) o altre pagine di medicina alternativa (con frutti magici che curano ogni male o terapie a colpi di bicarbonato e limone per guarire dal cancro) continuano ad esistere, nonostante le segnalazioni degli utenti.

Non si invoca la censura ma il buonsenso. A che serve bloccare la sponsorizzazione di un articolo per tre righe sulla sessualità e continuare a lasciare online contenuti che non hanno rispetto per la vita umana?

Da un lato sei tu inserzionista a decidere chi può vedere cosa, nelle pagine pubbliche, invece, raramente viene messo un filtro e i più giovani vengono contagiati da idee distorte e pericolose.

Ultimo pensiero

L’algoritmo che decide cosa può essere messo in evidenza e cosa no, senza dare troppo peso al contesto come abbiamo visto sopra, è di una società privata e proprietaria di una piattaforma editoriale (con 1,39 miliardi di iscritti).

Sappiamo bene che le sponsorizzazioni richiedono di definire l’utente a cui saranno rivolte e, una volta approvate, l’algoritmo ti proporrà la pubblicità (o evidenzia un prodotto editoriale) decidendo al posto tuo cosa potrebbe interessarti e cosa no (anche se puoi segnalare che la cosa non ti interessa, ma solo dopo aver visualizzato il contenuto), basandosi sulle tue abitudini online.

Ma dove sta la crescita personale se ci viene tolto il piacere della scoperta? Quale dovrebbe essere il limite della “personalizzazione”?

Riflettiamo…

P.S.: Sto già lavorando ad un articolo di approfondimento “La guerra degli algoritmi” (titolo provvisorio).

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