Eutanasia: undici anni (e passa) di menefreghismo


eutanasia

Dj Fabo ha deciso di morire e se n’è andato in Svizzera per poter realizzare il suo desiderio.

È una storia che si ripete. Nel 2006 il caso Welby aveva scatenato un caso politico e mediatico anche oltre i confini italiani.

Piergiorgio Welby aveva chiesto il diritto all’eutanasia, chiedendo, come fece il Dj Fabo, al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di intervenire (incassando un auspicio di un dibattito politico in merito).

Cos’è cambiato in 11 anni da Welby a Fabo? Nulla. Dopo la morte e la polemica per via della posizione del Vicariato di Roma, che gli ha negato il funerale religioso, il tema dell’eutanasia è tornato nel sottobosco dei diritti negati, lasciando che la lotta fosse portata avanti da associazioni, organizzazioni e gruppi spontanei.

Oggi, il tema “Eutanasia legale” ( qui gli hashtag su Twitter: #eutanasialegale e #eutanasia) è tornata in primo piano dopo undici anni circa.

Oggi come ieri si parla e basta, nonostante il fatto che le reti sociali si siano evolute, che le connessioni tra persone si siano fatte più fitte e che le discussioni viaggino tra una piattaforma e l’altra in un tempo molto vicino allo zero, parlando di secondi.

Nonostante questo progresso tecnologico, nulla cambia nella sostanza. Di nuovo ci troviamo a leggere parole di condanna, per far poi cadere nel dimenticatoio l’argomento non appena avremo un nuovo motivo per indignarci.

L’altro aspetto negativo, sono i cacciatori di “follower”, i quali come abili surfisti, attendono l’onda del momento, cavalcandola sino a riva per attendere poi la prossima; pazientemente.

Il Web è discussione. Come spigato nella sesta tesi del Cluetrain Manifesto: “Internet permette delle conversazioni tra esseri umani che erano semplicemente impossibili nell’era dei mass media” ma come spiegato prima non è sufficiente ed il potenziale viene sprecato.

Il problema è che i social network (e una fetta del web) sono diventati l’upgrade della “chiacchiera da bar” e seguono lo stesso identico ragionamento: ci si lamenta su “quello che dovrebbe essere” e non su “cosa fare” perché una determinata cosa diventi realtà.

Sia chiaro, il mio pensiero non vuole essere un “attacco” verso gli utenti malati di manie di protagonismo (i quali alternano momenti di indignazione a commenti banali di show televisivi di dubbio gusto), alla ricerca di conferme e di qualcuno che gli dica “bravo”, ma solo un momento di riflessione.

Se le cose non cambiano è solo perché siamo abituati a chiacchierare.

#Eutanasia era un argomento a malapena sussurrato nel web, praticamente sconosciuto; stessa cosa #eutanasialegale.

eutanasia

Andamento hashtag #eutanasia su Twitter.com, dei giorni scorsi, sino al momento del picco. (Fonte Keyhole.co)

Il nuovo caso mediatico ha dato forza a quel flebile eco e tutti siamo stati pronti a togliere la nostra “mise” idealista dalla naftalina, digitando i tasti con la violenza e la passione del momento: “vogliamo morire come ci pare”.

Andamento hashtag #eutanasialegale su Twitter.com, sino al picco. (fonte Keyhole.co)

Andamento hashtag #eutanasialegale su Twitter.com, sino al picco. (fonte Keyhole.co)

E via, quindi, ad una serie di tweet sull’onda degli hashtag di tendenza, per mostrare la nostra indignazione, per urlare “vergogna”, in attesa che qualcuno ci dica “bravo”, sotto forma di condivisione o commento.

E siamo in pace con noi stessi.

E poi? Poi c’è l’Isola dei famosi. Un paio di tweet ben assestati, con battute scontate con lo scopo di prendere in giro il finto sfigato naufrago di turno. Oppure, critichiamo i talent, Uomini e Donne, alternando qualche programma di discussione politica.

Se sfruttassimo di meno i trend del web per apparire quello che non siamo o  per dare online un’immagine distorta di quello che vorremmo essere, se tramutassimo in realtà quel furore scatenato sulla tastiera a colpi di punti esclamativi e aforismi, forse qualche passo avanti lo avremmo fatto.

Se avessimo dato un seguito alle parole, dopo Welby non avremmo dovuto parlare di Fabo. Il Dj se ne sarebbe andato in silenzio, in Italia e nel pieno rispetto dei propri diritti.

Ci sono troppi “se”, è questo il problema. Il nostro problema.

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