Una rivoluzione che inizia dal quorum?


Forse sarà stato il vento delle rivoluzioni africane, a risvegliare gli elettori dal torpore? O una lunga campagna fatta dai volontari o dai vari comitati ambientalisti, che per mesi sono scesi in piazza, o per l’acqua o per il nucleare, ad informare la gente sui referendum? Oppure il referendum era la “moda” del momento? O si tratta di una manifestazione di un disagio di una popolazione sempre più povera e sempre più disoccupata?

Una cosa è certa, le risposte le avremo nei prossimi mesi.

Ma alla fine non è stata l’onda emozionale dell’effetto Fukushima, che è quello che ha incassato il minor numero di Sì (il 94,5%, mentre di due quesiti sull’acqua hanno raggiunto rispettivamente 95,6% e 96,1%, mentre il legittimo impedimento il 95%), a far risvegliare le coscienze è stata forse la stanchezza di un sistema politico che non sta rispondendo al bisogno dei cittadini.

NUCLEARE E POLITICHE ENERGETICHE

Il governo sta agendo senza un piano preciso. A che serviva il nucleare se abbiamo già abbastanza energia elettrica in Italia (più del doppio).

Attualmente manca un piano energetico nazionale che ci permetta di fare il punto della situazione, ma soprattutto di rilevare siti idonei per la realizzazione, o conversione, delle centrali di produzione energetica, diversificando le materie prime per la produzione.

Si parla tanto di non dipendere solo dal gas, ma Eni ha un contratto trentennale, siglato da Berlusconi in persona, con la Russa Gazpron per la fornitura di 20 mld di m3/anno di gas, che obbliga a pagare delle penali, se non viene importato il quantitativo stabilito.

C’è anche un mito da sfatare. Il problema in Italia non è la produzione di energia, la potenza installata è il doppio del fabbisogno, ma la dipendenza verso gli altri stati nel reperire risorse e anche nel caso del nucleare l’uranio sarebbe stato importato e compriamo energia dalla Francia, di notte perché costa meno che produrla.

Dopo il referendum Umberto Veronesi, nella sua intervista su “La Stampa del 14 giugno, di Egle Santolini” ha dichiarato di rispettare la scelta, ma che non si penserebbe al futuro.

O è l’esatto contrario? Le scorie avrebbero vincolato le generazioni future, sia nei costi di stoccaggio, che lo smaltimento, sia nello smantellamento delle centrali, non è aver pensato ai posteri? Per Veronesi la gente è stupida, dato che non avrebbe pensato al futuro?

ACQUA

Con il Sì è stata abrogata parte della legge Ronchi che prevedeva la privatizzazione del servizio idrico e non dell’acqua, che sarebbe rimasta comunque bene pubblico.

Ora sono le amministrazioni comunali a decidere se dover allestire delle gare o fare degli affidamenti diretti nella gestione del servizio idrico, mentre nel secondo, punto bisogna capire da dove arriveranno i 60miliardi di euro (secondo rapporto Blue Book) che serviranno per sistemare gli impianti a livello nazionale, un investimento di 2miliardi l’anno per 30 anni.

Dall’altra parte le fasce a rischio verranno protette dall’aumento delle tariffe in bolletta, permettendo a tutti l’accesso: all’acqua che è un bene pubblico (come citava la legge Ronchi nell’articolo 23bis); mentre ora il rischio è che l’Europa apra una procedura d’infrazione, visto che una direttiva comunitaria, prevede l’obbligo sulle gare pubbliche.

In Italia ci sono già stati vari esempi di privatizzazione del servizio idrico, dimostrando di non essere una soluzione. Le società ragionano in quanto aziende, per il profitto, dimostrando in diverse occasioni di non aver portato migliorie, pur aumentando la tariffa in bolletta.

Serve una strada alternativa, maggiori incentivi sul risparmio. Se siamo obbligati a dover fare un investimento di 60miliardi per sistemare il tutto, forse, si dovrebbe cercare di capire come si è arrivati a questo punto.

LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Già erano pochi gli effetti della legge, svuotata dopo la sentenza della Corte Costituzionale, ma l’esito del referendum ha portato ad una grande bocciatura delle cosiddette “leggi ad personam”.

Se fosse passata, bastava una semplice inaugurazione di una qualsiasi opera a permettere al Premier di invocare il legittimo impedimento, ora non è più così.

Ma il segnale più forte, forse, sta proprio nel fatto che oggi l’italiano medio non ha bisogno di riforme sulla giustizia, ma sulle politiche del lavoro e sull’economia.

Alla fine non si è trattato di un divorzio tra cittadino e governo, come ha detto Bersani, ma tra cittadino e partiti politici. Il segnale è stato molto forte al mondo politico in generale… non siete vicini ai veri bisogni della gente.

O almeno si spera che il referendum non fosse solo la moda del momento…

 

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