Porto Tolle/Centrale Enel – Lettera al Ministro Prestigiacomo da parte degli ambientalisti


Al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

On. Stefania PRESTIGIACOMO

Porto Tolle, 7 luglio 2011

Illustrissimo Ministro,

ci permettiamo di sottoporre alla Sua urgente attenzione quanto segue.

A Porto Tolle, nel cuore del delta del Po, è stata realizzata negli anni 70’ una grande centrale termoelettrica alimentata ad olio combustibile. Enorme è stato l’impatto ambientale derivante dalla costruzione e dal funzionamento di questo impianto in una delle più importanti aree di interesse ambientale d’Italia e d’Europa (sito di importanza comunitaria e zona di protezione speciale tutelate dalla normativa europea).

Quale sia stato l’impatto sanitario di tale impianto non si sa perché la prevista indagine epidemiologica venne improvvisamente interrotta.

Da ultimo tuttavia si segnala come la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo abbia chiesto il rinvio a giudizio dei vertici Enel, dei direttori di centrale e dei quadri intermedi per il reato di cui all’art. 437 cp per aver omesso di collocare presso la centrale impianti destinati a prevenire disastri ed infortuni, che nel caso di specie si sarebbero verificati in quanto, sulla base della consulenza tecnica espletata dai ricercatori del Registro Tumori ed Epidemiologia Ambientale della Fondazione IRCCS dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano, vi è stato, in particolare nel periodo 1998-2002, tra i bambini di età compresa tra 0 e 14 anni residenti nei Comuni del delta del Po veneto ed emiliano un significativo aumento di patologie respiratorie associato alla concentrazione di inquinanti tipici delle centrali termoelettriche (in particolare all’esposizione a vanadio).

Un processo penale, da poco concluso con la sentenza della Corte di Cassazione depositata il 27 aprile scorso, ha accertato la commissione di reati (violazione della normativa sull’inquinamento atmosferico, danneggiamento aggravato) connessi alle emissioni in atmosfera della centrale che hanno provocato gravi danni ambientali al territorio, calcolati in diversi milioni di euro, che attendono ancora di essere in gran parte risarciti.

Il processo ha anche accertato che la centrale di Porto Tolle è stata deliberatamente tenuta da Enel spa priva delle tecnologie antinquinamento di cui aveva dotato tutti gli altri impianti termoelettrici italiani. Per una precisa scelta riconducibile ai vertici aziendali (di qui il riconoscimento da parte della Suprema Corte di una responsabilità da parte degli stessi amministratori delegati della società capogruppo) la centrale è stata dunque tenuta come “l’ultima delle ultime” e adeguata soltanto nel 2005 ai limiti sulle emissioni inquinanti introdotti in Italia nel 1990.

Tra le leggi violate da Enel spa v’è anche la previsione della legge regionale veneta istitutiva del parco del Delta del Po (l’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36) la quale dispone che “Nell’ambito dell’intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po ….: a) gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.

Per agevolare il rispetto di questa legge, attuando la riconversione a metano della centrale elettrica,nel 1999 Regione Veneto, Provincia di Rovigo, i Comuni, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, Enel spa firmavano un “Patto territoriale” con cui la comunità locale accettava la realizzazione del più grande terminale gasifero off shore del mondo (8 miliardi di metri cubi annui) dinanzi alle coste del delta del Po e più precisamente dinanzi alla darsena della centrale di Porto Tolle.

Il terminale gasifero è stato realizzato ed è entrato in funzione (non senza gravi problemi: da ultimo c’è stata una condanna del tribunale di Rovigo per la realizzazione illecita del gasdotto), ma nel frattempo Enel ha deciso di trasformare la centrale di Porto Tolle non a gas metano, come previsto dalla legge regionale e dal Patto territoriale per il Polesine, ma a carbone.

Il progetto di trasformazione a carbone è stato quindi autorizzato, sulla base di una norma contenuta nella legge n. 33/2009 di conversione del DL “incentivi” n. 5/2009 (a seguito di un maxi-emendamento del Governo, su cui ci permettiamo di ricordare una missiva di dissenso del Capo dello Stato al Presidente del Consiglio e ai Presidenti di Camera e Senato 17 aprile 2009) l’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009 il quale dispone: “per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri l’abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell’allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

A seguito di un ricorso proposto da operatori locali del turismo e della pesca, e di associazioni di protezione ambientale nazionali, il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 23 maggio 2011, n. 3107, ha annullato il decreto di valutazione di impatto ambientale positivo sul suddetto progetto evidenziando, tra l’altro, come nel corso del procedimento amministrativo non fosse stata svolta la dovuta comparazione analitica e motivata tra l’impatto ambientale potenzialmente proprio della centrale a carbone che si intende realizzare e quello correlato alla realizzazione e al funzionamento di un’alternativa centrale a gas metano di pari potenza, come imposto con particolare evidenza dalla ricordata legge regionale veneta.

A tale ultimo proposito il Giudice amministrativo aveva anche ricordato come la stessa Corte Costituzionale (nella sentenza 22 luglio 2010 n. 278) avesse già precisato la necessità di interpretare restrittivamente (a pena di illegittimità costituzionale del medesimo) il disposto dell’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, da intendersi come volto a derogare alle sole leggi, statali e regionali, “che prevedono limiti di localizzazione territoriale”, ossia quelle norme che determinino, “con specifico riguardo agli impianti di produzione di energia elettrica, un divieto di localizzazione tale da determinare l’impossibilità dell’insediamento e non permetta, nel contempo, una localizzazione alternativa”. Di qui l’inderogabilità del disposto dell’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, il quale “lungi dal precludere la localizzazione e l’insediamento di impianti di produzione di energia elettrica, si limita ad esprimere -in considerazione delle esigenze di protezione che la specificità del territorio considerato evidentemente pone- una opzione del legislatore regionale di preferibilità per gli impianti alimentati a gas metano, ammettendo una differente alimentazione solo a condizione che siano utilizzate ‘fonti alternative di pari o minore impatto ambientale’ ”. Orbene, ora si apprende che nella bozza di DL (o perlomeno nel testo di cui abbiamo avuto conoscenza) recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” compaiono all’art. 35, commi 8 e 9, le seguenti disposizioni: “8 . All’articolo 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, dopo le parole: “di localizzazione territoriale” sono inserite le seguenti: “, nonché che condizionino o limitino la suddetta riconversione, obbligando alla comparazione, sotto il profilo dell’impatto ambientale, fra combustibili diversi o imponendo specifici vincoli all’utilizzo dei combustibili”.

9. L’articolo 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, come modificato dal comma 8, si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 33 del 2009.”  Appare immediatamente evidente l’obiettiva funzione della nuova ipotizzata disposizione di intervenire con una norma ad hoc per consentire la riapprovazione del progetto di trasformazione a carbone della centrale di Porto Tolle senza ottemperare alla sentenza del Consiglio di Stato. In secondo luogo si evidenzia come l’obbligo della comparazione tra il progetto presentato e le possibili soluzioni alternative praticabili -ovviamente, anche in termini di alimentazione di un impianto elettrico- costituisce uno dei contenuti necessari ed obbligatori della procedura di valutazione di impatto ambientale imposto dalla normativa europea con una disposizione (l’art. 5 della direttiva 85/337/CEE) che secondo il Giudice europeo rientra tra le condizioni inderogabili dai legislatori nazionali (Corte giustizia CE, sez. VI 16/09/1999 n. 435, procedimento C-435/97).

Infine appare evidente come la nuova previsione si porrebbe in autentica “rotta di collisione” con la ricordata pronuncia della Corte Costituzionale n. 278/2010 che aveva salvato dall’incostituzionalità (per violazione dei limiti assegnati al legislatore statale in materia di legislazione regionale concorrente) il ricordato art. 5-bis della legge 33/2009 soltanto a condizione che lo stesso venga interpretato nei termini restrittivi sopra ricordati.

Per tutto questo si auspica, Signor Ministro, un Suo intervento per sventare tale obbrobrio giuridico.

Giuseppe Onufrio

Direttore Esecutivo Greenpeace Italia

Alessandra Mottola Molfino

Presidente nazionale Italia Nostra

Vittorio Cogliati Dezza

Presidente Legambiente

Stefano Leoni

Presidente WWF Italia

Giorgio Crepaldi

Rappresentante Legale Comitato “cittadini liberi – Porto Tolle”

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